Il monologo di Chiara Francini

Postato da Andrea Moi il 14.02.2023

Il monologo di Chiara Francini


Il monologo di Chiara Francini
⌚Con (credo) perdonabile ritardo e in seguito a diversi confronti avuti nelle chat di Fb e IG in questi giorni, mi sento di fare un sunto dei miei pareri, sperando sia gradito, sul monologo della brava (attrice e autrice) Chiara Francini.
👩‍🦰Il monologo è stato commentato da vari fronti sotto l'aspetto del "non utile" - "utile" - "banale" - "ipocrita" - " solita recitina" - "finalmente". Io personalmente ho fatto delle letture (contestabilissime) e tra queste:
1. Ho letto che "la società" ti fa sentire sbagliata e lei racconta come si sente trattata da donna sbagliata da sue pari. E questo mi pare un dato di fatto (non che lei sia sbagliata, ma che la società la tratti come tale. Succede a lei, succede a tantissime, non possiamo che registrare la sua testimonianza).
Possiamo inoltre notare che non solo avvenga a lei, ma che avvenga costantemente nelle pubbliche relazioni. E anche questo è un dato di fatto, visti i commenti di varie persone nei social che lo confermavano.
2. Per mio punto di vista il monologo è stato costruttivo, nonostante alcune persone potrebbero notare che, sotto l'aspetto della modificazione culturale, le sue osservazioni (in particolare quella finale) non spingano alla modificazione culturale ma alla conferma del ruolo.
Spiego perché:
Fino a che non si parla apertamente di questa dinamica le persone continueranno a credere che sbattere in faccia le felicità (ben vengano le felicità per tutte), anche per chi ha vissuto una sofferenza, un disagio, la perdita di un lavoro, un lutto non superato, sia una cosa sacrosanta, scontata, sociale, solo bella per chi la vive e le persone che le stanno attorno e che se non viene ricambiata è solo una questione di egoismo da parte di chi non comprende la felicità altrui.
Io questo discorso lo vedo molto al limite del pregiudizio.
I lutti (e/o le mancate maternità, la perdita del lavoro etc…) devono essere superati (ognuno/a con i tempi propri), ma in attesa di quello non fa di certo piacere che le persone non abbiano nessun tatto nei confronti di chi sta vivendo un disagio.
Sia esso una maternità, una perdita di una persona, del lavoro, del proprio status sociale o di qualsiasi cosa che la società utilizzi come "metro" per misurare il valore delle persone (totalmente sbagliato, ma questo è).
Il momento per non sentirsi "donna a metà" arriverà o nei peggiori casi non arriverà, ma di certo non parlarne e non fare sapere a chi interpreta come egoismo una sofferenza interiore e una "rottura" non credo sia una ottima pensata.
Io ho trovato il suo monologo coraggioso, commovente e sicuramente rappresentativo di una quantità di donne che nessuno difende mai. Perché è più facile difendere il resto della popolazione, considerata "migliore" perché fidanzata, sposata, con un figlio, con tre figli, con nipoti, con un lavoro, riconosciuta socialmente, con tutti i propri privilegi, etc... È stato in questi anni (nei social) molto più facile difendere le persone che hanno raggiunto risultati positivi, influencer, plurimamme, dagli ottimi risultati lavorativi che non persone che, anche a causa delle loro sofferenze o poca audacia o prontezza nel rispondere a discussioni “spinose”, non sono state in grado di fare valere il proprio INNEGABILE valore.
3. Alcune persone mi troveranno d’accordo sul fatto che l'obiettivo deve essere più alto e puntare all'eradicazione totale del pregiudizio per il quale la donna non deve sentirsi veicolo di niente e non dovrebbe dimostrare niente. Solo che in attesa di misure sociali (culturali, politiche) che possano intaccare questa scorza direi che parlare di questa parte di universo con la buona e vecchia gentilezza e accoglienza, sia un buon punto di partenza.
Parlarne in certi termini talvolta rafforza lo status Quo che stiamo cercando di sradicare. Ma vediamo le cose come stanno: per la maggior parte delle persone questo per ora è un argomento tabù.
Ci saranno i tempi per parlarne nel modo giusto, ma nel frattempo rompere il tabù (non lo è, ma la società lo vede come tale) è già un compito difficile e complesso.
4. La mia esperienza personale/professionale mi ha insegnato che non esiste solo una soluzione ai problemi. E soprattutto non esiste solo "la soluzione", di questi problemi.
In questo senso attendere che qualcuno/a metta in atto soluzioni strutturali non fa altro che rinviare e non fare.
Non credo che noi professionisti/e della salute dobbiamo sempre e solo trovare le soluzioni (per quello esistono strateghi/e, mental coach, problem solver, etc…), ma anche stare semplicemente accanto chi, ogni secondo, ogni giorno, ogni mese e ogni anno, per anni, soffre senza che nessuno dica che si può soffrire anche per questo, che è normale soffrire per questo e che infine ragionare per ruoli e simmetrie è una porcheria!
Chi conosce questa realtà lo sa bene quanta diffidenza ci sia attorno a cene con amiche, cene con parenti, cene con colleghe, cene con sconosciuti, etc.. Non tutte hanno gli strumenti e la prontezza di dire: "io mi autodetermino!", con la fermezza con la quale lo possa fare una esperta di queste dinamiche...
Nel frattempo quindi che si attendono soluzioni strutturali (che ben vengano, anche con i loro tempi rallentati) c'è la sofferenza, la solitudine, la sensazione palpabile di essere in difetto, di essere “meno”, di non essere abbastanza, di essere in errore.
Se nessuno avesse mai spiegato la sofferenza che c'è dietro i pregiudizi di avere la pelle di un colore diverso, se nessuna avesse mai iniziato a parlare del soffitto di cristallo, se nessuna avesse mai iniziato a parlare di violenza di genere all'interno del diritto, anche con tutti i loro aspetti di banalità e lifestyle più spicci staremo qui ad aspettare, senza che queste persone abbiano il conforto di un abbraccio e dell’accoglienza del dolore sofferto.
Capisco benissimo la teoria che c'è dietro il contrasto ai pregiudizi e stereotipi. Ma quanto lenirebbe un "comprendo la tua sofferenza, un giorno tutti noi reagiremo in un modo diverso, ma per ora sono con te e la comprendo". Forse poco per alcune. Tantissimo per altre persone. Persone come quelle di cui parla il monologo di Chiara Francini. Ma il bene è contagioso, e a volte parlarne con una persona e far partire un dialogo circolare può portare un cambiamento sociale dal basso, come anche ho teorizzato nel mio scritto di cui vi lascio le indicazioni a fine post. I bambini e le bambine devono iniziare a capire che esiste anche questo disagio e che la presenza o l’assenza di una creatura può essere tanto motivo di gioia come un lutto che molte persone si portano appresso. Allora sì che il cambiamento sociale potrà avvenire.
🙏☘ Detto questo comprendo totalmente la diversità di vedute e ci tengo a dire che non è mio intento convincere nessuna/o su questo argomento, se non, come al solito, mandare un messaggio di comprensione e conforto a chi si è sentita compresa per la prima volta anche da questo "banalissimo" monologo che ha avuto se non altro il pregio di aver fatto conoscere ad alcune persone che esiste anche questo.
🙇Grazie a chi vorrà commentare e/o lasciare un feedback.

Andrea Moi
Dott. Andrea Moi - Consulenza e supporto psicologico

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